C’è un’altra vittima occidentale, una ragazza di 19 anni, tra i “soldati” caduti in Siria, nei territori dove si stanno combattendo gli uomini neri del Califatto e le varie fazioni curde. Ivana Hoffmann, nome di battaglia Avaşin Tekosin Günes, era nata il 1 settembre 1995 a Duisburg, nella zona industriale della Ruhr in Germania, da padre congolese e madre tedesca.
Come il giovane milanese Salman morto a gennaio, anche lei combatteva contro l’Isis: sei mesi fa si era arruolata nelle file del Partito Comunista Marxista Leninista (Mlpk), che al confine tra Turchia e Siria combatte a fianco dei curdi. In un video in mimetica diffuso recentemente, Ivana aveva spiegato di aver imbracciato il mitra per difendere «l’umanità» e la «libertà».
L’Uiki, l’Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia, fondato nel 1999, conferma che Ivana è morta il 7 marzo alle 3 di mattina mentre combatteva a Til Temir, il villaggio abitato dai caldei siriaci in cui ora passa la linea del fronte. Assaltando questa postazione, dove il Mlkp combatte insieme ai curdi dell’Ypg-Ypj, l’Isis voleva vendicare le sconfitte appena subite a Til Hemis e Til Barak.
Nel comunicato in cui annuncia la morte della “compagna Avaşin”, il Mlpk scrive:
«I suoi sogni sono i nostri sogni, il suo cammino il nostro, la sua memoria il nostro onore». Per i curdi, Ivana è «una martire»: «Ha combattuto – dicono – fino all’ultimo proiettile, rafforzando la barricata e sconfiggendo il piano dell’Isis volto a prendere Til Temir e proseguire in ulteriori massacri».
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Clik here to view.Se la cittadina siriana a 40 chilometri dalla frontiera turca fosse caduta, il Califfato avrebbe ottenuto una via di collegamento con Mosul, ovvero con la sua roccaforte in Iraq.
Ma cos’ha spinto questa diciannovenne tedesca a partire?
Il credo internazionalista e il sostegno al Rojava, la regione della Siria in cui i curdi hanno proclamato l’autonomia. Per questa causa, nell’ultimo anno sono arrivati vari combattenti dall’Europa: soprattutto curdi, cresciuti all’estero ma rimasti legati alla propria terra, ma anche militanti dell’estrema sinistra, come Ivana, che interpretano la lotta all’Isis come la Resistenza di oggi.
Tra di loro, da gennaio c’è anche un ragazzo italiano. È Marcello Karim Franceschi, marchigiano di 26 anni, madre marocchina e padre italiano, attivista dell’Arvultùra di Senigallia.
Spiegato con le sue parole, combatte «in armi i fascisti del califfato nero», difende «la libertà e la democrazia come fecero milioni di partigiani in Italia e nel mondo».
Franceschi ha scelto autonomamente di arruolarsi con l’Ypg, le Forze di Difesa del Popolo, ma la sua decisone nasce nel clima di vicinanza dei centri sociali italiani ai combattenti curdi. Anche i suoi compagni dell’Arvultùra sono rimasti sorpresi: «La sua scelta – dicono – è coraggiosa, di grande generosità e umanità. Abbiamo capito che era vero solo quando ci ha mostrato i biglietti aerei e lasciato una lettera».
Con il ragazzo non è possibile parlare (la regola per chi si arruola è di consegnare il cellulare), ma prima di partire ha lasciato ai suoi compagni uno scritto: «In un contesto di guerra come quello del Kurdistan siriano, qualunque sforzo al di fuori di quello militare, per quanto nobile e condivisibile, rischia di limitarsi semplicemente a tamponare il sangue senza curare la ferita».
Quello di inizio anno non era il suo primo viaggio in Siria: «Sono rimasto sorpreso quando ad una mia affermazione, in cui distinguevo la politica dalla guerra, l’ex governatore del cantone di Kobane mi disse: la guerra è politica». Da qui la scelta:
«Sono partito per Kobane. Adesso mi aspetta un breve periodo di addestramento – spiegava nello scritto datato 7 gennaio – dopo il quale combatterò in armi». Contro l’Isis, ma soprattutto a favore di «quell’esperimento politico che si definisce “confederalismo democratico”: una via laica, femminista, ecologista e di autodeterminazione nel Medio Oriente».
Cioè quel Rojava per la cui difesa è morta anche Ivana.